Arte contemporanea – Gregorio Botta

“Nessuno resta defraudato dal cielo”

Sui sentieri di montagna spesso capita di incontrare piccole piramidi di sassi messe lì da un viandante ad indicare la via per chi verrà dopo. Mi è sempre piaciuto pensare che quel gesto avesse anche una forma simbolica: quello di alleggerirsi via via lungo il cammino, di lascaiare il superfluo, per arrivare in cima più scarni, puliti, purificati. Salire, in tutti i sensi, è un’arte sospesa tra la leggerezza e la gravità: mentre si ascende si sente la fatica del proprio peso, si percepisce il fardello dell’attrazione terrestre, ma contemporaneamente ci trascina verso l’alto una vertigine di levità. In questo fragile equilibrio si procede. Per questo ho immaginato questa scultura di pesante piombo e di fragile vetro: i suoi scalini trasparenti sembrano quasi non reggere il peso dei sassi che portano, e che vengono lasciati per strada fino ad arrivare in cima.
Ascendere è lasciare.
Sette frasi accompagnano la salita: i primi sei sono versi di Emily Dickinson e parlano dell’attrazione verso il cielo, e della necessità del percorso: “La luce ha reso più deserto il mio deserto”, “Anima corri il rischio, meglio essere con la morte che non essere con te”, “Di una così divina privazione altro non registriamo che il guadagno”, “Nel tuo paradiso non rimpiangerò svaghi di terra”, “Quanto più m’accosto, più senta il desiderio”, “Nessuno resta defraudato dal cielo”.
L’ultima frase, invece, è di Walter Bonatti: e parla di quella sensazione beata che si prova in vista della vetta, del vento gioioso che gonfia le vele di chi sta per raggiungere la meta:
“La felicità ci aveva fatto volare”

Gregorio Botta